Monica Baldi: “La mia ricetta per l’Italia di nuovo protagonista in Europa”

Esperienza, competenza e passione. Un mix equilibrato e vincente. Se in giurisprudenza tre indizi fanno una prova, in politica unire queste tre qualità è spesso una cosa rara. L’identikit risponde a Monica Baldi, ex parlamentare toscana, che tornerà in campo alle prossime elezioni europee del 26 maggio con Fratelli d’Italia. Una candidatura che guarda con passione e determinazione al futuro del nostro paese nel complesso rapporto con l’Unione Europea. Una candidatura che si porta dietro di sé tutto quel bagaglio di esperienza maturato a Bruxelles e Strasburgo tra il 1994 e il 1999, quando Monica Baldi è stata parlamentare europeo, prima di essere eletta nel 2001 alla Camera dei Deputati. Anni intensi che hanno segnato il cuore politico, sociale ed economico dell’Unione. “Ho accettato la candidatura di Fratelli d’Italia – spiega Monica Baldi – perché sono convinta di poter dare un contributo apprezzabile affinché l’Italia possa tornare a rivestire quel ruolo da grande protagonista in Europa che merita. Il mio slogan è: BALDI E FORTI CON L’ITALIA PROTAGONISTA IN EUROPA”.

Si parla molto del modello Stati Uniti per l’Unione Europea. Ma è veramente attuabile?

“Lo dico con chiarezza. L’Europa e gli Stati Membri non sono gli Stati Uniti d’America. Abbiamo una nostra storia, una nostra identità, una nostra cultura e peculiarità diverse. Il termine “Stati Uniti d’Europa” (États-Unis d’Europe) fu usato da Victor Hugo durante il suo discorso al congresso della pace tenuto a Parigi nel 1849 e, altresì, il 9 maggio 1950 nella dichiarazione Schuman viene sottolineato che le nazioni europee dovranno riunirsi in una federazione europea. Non credo proprio che sia corretto parlare di modello Stati Uniti per l’Unione Europea ma di “UNIONE FEDERALIZZANTE” poiché ha una dimensione federale e una dimensione intergovernativa. Per esempio l’unione monetaria è unione federale mentre la politica estera e sicurezza comune, come altre politiche e le riforme dei trattati che richiedono l’unanimità, sono intergovernative. È necessario per alcuni importanti capitoli dell’UE incentivare, coltivare e supportare il modello federalista già esistente, per renderlo ancora più forte. L’euro, seppur con molti difetti, e la libera circolazione di cittadini e merci sono conquiste da cui non possiamo prescindere. Servono politiche comune adeguate mentre è fondamentale che l’Italia torni a rivestire in Europa quel ruolo da protagonista che ha sempre avuto anche nel passato”.

Un modello confederale potrebbe risolvere il problema?

“Il modello confederale, nell’Unione Federalizzante, può maggiormente valorizzare l’autonomia di ogni singolo Stato membro favorendo il principio di sussidiarietà, come è stabilito anche dall’articolo 5 del Trattato dell’Unione Europea. In pratica nei settori che non sono di sua esclusiva competenza l’Unione interviene se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri. Su questo c’è molto da lavorare per rendere tutti gli Stati in grado di autodeterminarsi per poter cooperare in armonia, ognuno con le sue specificità, sui grandi temi europei fra i quali: politica estera e sicurezza, difesa, mercato interno, economia, innovazione tecnologica, economia digitale, ambiente, agricoltura, salute e cultura.”

Come si risolve, invece, la dannosa questione dello sforamento costante del patto di stabilità?

“Il problema è che abbiamo deciso di realizzare la moneta unica e con la crisi si è creata la sfiducia fra gli Stati membri. Dobbiamo lavorare affinché il patto di stabilità non sia una morsa ma permetta la crescita e consenta di rafforzare l’unione monetaria ed economica. Sostenere ogni Stato membro e tenere conto delle specificità in campo economico, culturale e sociale può rappresentare una delle chiavi per valorizzare l’autonomia, senza perdere mai di vista una visione europea condivisa. Questo tipo di percorso di concertazione tra Unione Europea e Stati Membri, se intrapreso, potrebbe avere nel medio e lungo periodo benefici riuscendo a fare del patto di stabilità e crescita un effettivo strumento catalizzante, permettendo, in via del tutto eccezionale, una deroga nel caso di catastrofi naturali, come è successo recentemente nel cuore della nostra Italia. La deroga non deve essere la normalità, ma l’eccezione che viene concessa solo con l’approvazione di un programma operativo d’interventi che definiscono modi e tempi d’attuazione.”

L’immigrazione è uno dei temi più sentiti in Italia. Cosa può fare l’Europa per risolvere il problema degli sbarchi?

“Una politica migratoria lungimirante e globale dovrebbe essere alla base dell’Unione Europea. È necessario rafforzare la nostra frontiera comune, anche per poter risolvere il dramma degli sbarchi, irrobustendo l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, nota come FRONTEX, a cui è affidato il funzionamento del sistema di controllo e gestione delle frontiere esterne dello Spazio Schengen e dell’Unione europea. La guardia costiera e di frontiera europea, che ha come funzione principale quella di contribuire a una gestione integrata delle frontiere esterne, deve garantire una gestione efficiente dei flussi migratori, contribuendo così ad assicurare la sicurezza dell’UE. Ritengo necessario proteggere e regolare il traffico marittimo nel Bacino del Mediterraneo ed evitare anche che le ONG possano agire senza un reale controllo.”

Ma è possibile mettere d’accordo tutti gli Stati Membri?

“Non dico che sia semplice, ma vale la pena provare anche tenendo conto delle banche dati sui migranti già disponibili. Si potrebbero utilizzare e valorizzare strumenti già esistenti in Europa, troppo spesso sconosciuti anche agli stessi politici. Per esempio l’Agenzia europea EASO, l’Ufficio Europeo di Sostegno per l’Asilo con sede a Malta, che ho avuto modo di visitare e di apprezzare per la sua azione di raccolta dati e scambio informazioni, è finalizzata a definire orientamenti tecnici sull’attuazione degli strumenti per l’asilo nell’Unione. L’EASO opera come centro specializzato in materia di asilo e contribuisce allo sviluppo del sistema europeo comune agevolando, informando, coordinando e rafforzando la collaborazione pratica tra tutti gli Stati membri. Partendo da questo lavoro di raccolta dei dati reali sul flusso migratorio è possibile favorire l’istituzione di una politica seria e mirata alla reale solidarietà, realizzando collocamenti ad hoc, e non casuali, negli Stati membri anche a seguito di una legislazione chiara e una visione condivisa”.

Serve anche una politica di cooperazione forte a livello comunitario.

“Mi occupo da sempre di cooperazione allo sviluppo sia per la mia competenza professionale e sia perché ritengo ciò una priorità. Aiutare gli immigrati nei territori di provenienza non è solo uno slogan elettorale e come dice l’emerito Papa Joseph Ratzinger “Prima ancora che il diritto a emigrare va riaffermato il diritto a non emigrare”. Per farlo è necessaria una coordinata e vigorosa attività di cooperazione allo sviluppo e creare, così, le condizioni per far rimanere le persone nei propri luoghi d’origine. Servono regolamenti e direttive europee ma anche le corrispettive leggi di attuazione in ogni singolo Stato membro. Realizzare infrastrutture in Africa non è utopistico come molti credono. In Italia l’unica vera legge sulla cooperazione risale al 1992, che è stata poi bloccata con tangentopoli, e dal 2014 esiste un’agenzia che rappresenta il braccio tecnico-operativo del sistema italiano di cooperazione. È tempo di varare una nuova legge italiana che permetta di cooperare in sintonia con i finanziamenti comunitari sia per dare una mano concreta ai migranti e sia per favorire l’economia del nostro paese considerando anche il ruolo primario che possano giocare le nostre imprese edili nel costruire infrastrutture e complessi abitativi”.

Ha mai affrontato la questione direttamente in territorio africano?

“Sì moltissime volte anche durante le riunioni dell’Assemblea Africa Caraibi Pacifico e Unione Europea. Racconto un aneddoto di alcuni anni fa, durante una mia visita in Mauritania ebbi un interessante scambio di idee sulla pianificazione urbanistica di Nouakchott con l’allora ministro del Planning. Rimase molto colpito da alcune soluzioni tecniche che gli proponevo, in base alle nostre normative urbanistiche e ai nostri regolamenti architettonici, tanto che diede subito la disponibilità a collaborare a progetti comuni e a realizzare nuove infrastrutture locali richiedendo il supporto tecnologico di aziende italiane. Questo fatto mi colpì molto e ritengo che oggi i tempi siano maturi per creare un ponte concreto tra l’Unione Europea e l’Unione Africana”.

Quale ruolo potrebbero giocare gli immigrati in tutto questo?

“Partiamo dal presupposto che deve essere riformato il regolamento di Dublino e deve essere rivisto il sistema e metodo di collocazione degli immigrati negli Stati membri. Ritengo che il meccanismo della corretta accoglienza debba giocare un ruolo chiave. Potrebbe essere importante creare dei veri e propri CORSI DI APPRENDISTATO PER IMMIGRATI, i quali, in questo modo, si potranno formare meglio nei loro settori lavorativi di competenza. Certamente nei settori professionali in cui erano già stati istruiti durante gli anni di studi compiuti nei loro luoghi d’origine, in modo da acquisire la conoscenza necessaria a sviluppare le attività nei paesi di provenienza. Potrebbero, in seguito, essere impiegati attivamente nella realizzazione di progetti di cooperazione internazionale nelle loro nazioni di origine”.

Si parla molto degli immigrati, ma cosa si può fare a livello europeo per aiutare le famiglie italiane?

“L’Unione Europa può dare un contributo importante nelle politiche di sostegno familiare che rimangono comunque di competenza nazionale. Credo sia doveroso realizzare un LIBRO BIANCO sulle POLITICHE SOCIALI e creare un rapporto d’iniziativa per determinare azioni a favore della famiglia. Tutti gli Stati Membri saranno invitati a compiere misure concrete per le famiglie tenendo conto delle loro necessità ma, soprattutto, aiutando i giovani a trovare casa e realizzando asili nido gratuiti, anche con la creazione di un fondo speciale a favore delle imprese che intendono realizzare asili nido aziendali sempre con la presenza di personale qualificato. Sarà comunque fondamentale proseguire con le politiche di coesione e di inclusione sociale delle persone disabili e combattere la povertà, considerando che l’UE nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana.

E sulla sicurezza interna come si interviene?

“Chi delinque e viene da un’altra Nazione deve scontare la pena nel paese di provenienza. Le nostre carceri sono stracolme di cittadini comunitari ed extracomunitari che una volta usciti continuano a delinquere e noi non possiamo farci carico di tutto questo. Per farlo è indispensabile rinegoziare gli accordi tra l’Unione Europea, gli stessi Stati Membri e il resto del mondo. Alla base è necessaria una efficiente politica di sicurezza comune attuando una vera e propria cooperazione d’intelligence che diventa essenziale nella lotta contro il terrorismo.”

Nel simbolo di Fratelli d’Italia è presente la parola sovranisti. Ma non è una contraddizione in termini con il ruolo che deve rivestire l’Unione Europea?

“No. L’Italia è stata molto lungimirante negli anni cinquanta quando contribuì da grande protagonista alla nascita della CECA, la Comunità Economia del Carbone e dell’Acciaio con i Trattati di Parigi del 1951 e poi della CEE, la Comunità Economica Europea con la firma dei Trattati di Roma del Marzo 1957. Questi due momenti sono figli del periodo storico più buio e doloroso della storia europea che usciva sofferente dalle due Guerre Mondiali. Ma entrambi, i trattati, si sono realizzati con quello spirito collaborativo che in Italia ci ricordano i padri fondatori che hanno contribuito alla nascita della nostra Costituzione. Sovranismo vuol dire rimarcare il ruolo da protagonista che l’Italia deve avere in Europa. E per farlo servono all’interno dell’UE persone serie e competenti, che conoscano la materia e le istituzioni e che, altresì, sappiano parlare bene almeno le due lingue ufficiali della Commissione: inglese e francese”.

Fratelli d’Italia vuol giocare un ruolo importate tra i conservatori europei. Cosa ne pensa?

“Il nostro candidato alla Presidenza della Commissione Europea è Jan Zahradil. Il ceco scelto come spitzenkandidat dal gruppo al quale apparteniamo ACRE, l’Alleanza dei Conservatori e Riformisti Europei, che ha scelto come slogan ‘Retune the Eu’ (“Ri-sintonizzare l’Unione Europea”). Il gruppo ACRE è il terzo, in senso numerico, nel Parlamento Europeo e, a seguito del risultato elettorale del 26 maggio, intende essere il punto di collegamento fra i populisti di Le Pen-Salvini e il Partito Popolare Europeo”.

Si parla tanto di burocrazia anche a livello europeo. Qual è la ricetta per combatterla?

“Da anni noi ci confrontiamo con una forte Eurocrazia (la burocrazia europea) ed è un problema che si può limitare, attuando più democrazia e più trasparenza, rivedendo i ruoli e competenze della Commissione Europea. Alla luce della mia esperienza credo che sia necessario rilanciare il ruolo del Parlamento Europeo che a volte è ingabbiato da provvedimenti e regolamenti già confezionati in sede di Commissione. È indubbio che il rispetto dei principi democratici a livello europeo è garantito dalla sua partecipazione al processo legislativo, dal suo coinvolgimento nella revisione dei trattati, dal suo diritto di intervenire dinanzi alla Corte di giustizia europea e dalle sue competenze di bilancio e di controllo, infatti condivide con il Consiglio il potere di decidere sull’intero bilancio annuale dell’Unione europea, sul quale ha l’ultima parola.”

C’è qualcosa da rivedere nell’azione di politica estera dell’Unione Europea?

“L’Unione Europea deve avere una reale politica estera e di sicurezza comune che sia incisiva e che possa portare avanti i valori e i principi dell’UE. Uno strumento importante è certamente la DIPLOMAZIA CULTURALE che può intervenire nello sviluppo e nell’attuazione di programmi di cooperazione internazionale. La diplomazia culturale come strumento di dialogo per unire i popoli attraverso l’arte e il patrimonio culturale. Cultura e politica procedono nella stessa missione di avvicinare i popoli. Per rafforzare la cooperazione multilaterale è necessario promuovere pace e sicurezza globale, prosperità, sviluppo sostenibile e diritti umani. Fra le priorità è importante indicare misure appropriate per la salvaguardia del patrimonio culturale al fine di proteggere la diversità culturale e i simboli storici, emblemi delle differenti identità, che vengono barbaramente distrutti in aree di crisi. L’intendimento è quello di promuovere e includere misure efficaci per la protezione del patrimonio culturale ostacolando il traffico di antichità nel mandato di mantenimento della pace. E l’Italia è da tempo impegnata, unitamente all’Unesco con la Task Force dei Carabinieri Unite4Heritage denominati i “Caschi Blu della Cultura”, ad attività di tutela del patrimonio artistico in zone difficili. Considerando che l’Unite4Heritage è l’iniziativa, creata nel 2015 dall’Unesco, per sensibilizzare gli Stati membri dell’Organizzazione a valorizzare e tutelare il patrimonio culturale, proteggendolo dai danni in zone di guerra, e per educare i giovani di tutto il mondo a preservare la cultura come strumento di integrazione, crescita e sviluppo sostenibile. Il recupero e la salvaguardia del patrimonio culturale, quale testimone della propria storia, civiltà, cultura, identità e tradizione, può essere uno dei terreni più fertili e innovativi, e, i beni culturali se ben conservati e valorizzati possono essere un’importante risorsa economica e sociale oltre che fondamento per la democrazia. Ritengo che si possa fare molto per prevenire e risolvere i conflitti, se si conoscono storia e cultura delle aree di crisi, però, è fondamentale lavorare in cooperazione fra mondo politico, culturale, universitario, militare e civile.
È importante ricordare che parte integrante della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione (PESC) è la politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) contemplata nel trattato sull’Unione europea che stabilisce il quadro per le strutture politiche e militari dell’UE e per le missioni militari e civili e le operazioni all’estero. La PSDC ha subito recentemente importanti modifiche strategiche e operative per soddisfare le sfide in materia di sicurezza e la domanda diffusa di maggiori risposte da parte dell’UE.

Sull’ambiente, invece, come si può agire?

“L’Unione Europea è pioniera nella lotta contro il cambiamento climatico. Ho lavorato attivamente anche durante il mio mandato al Parlamento Europeo presiedendo, altresì, il gruppo di lavoro sui cambiamenti climatici nell’Assemblea Africa, Caraibi, Pacifico e l’Unione Europea. Sono stati due anni d’intenso lavoro finalizzati a esaminare e valutare gli effetti e le implicazioni socioeconomiche dei cambiamenti del clima e dell’innalzamento del livello del mare sui piccoli Stati insulari, le proposte di strategie, anche pratiche, per accrescere la consapevolezza, a livello internazionale, dei pericoli insiti di tali cambiamenti specie analizzando le catastrofi naturali. Purtroppo vent’anni fa le tematiche ambientali non avevano la risonanza sui media come stanno avvenendo oggi. Sono certa che quanto già evidenziato nel passato può essere ripreso con determinazione, anche perché non è stato fatto molto.
L’ambiente è il territorio in cui viviamo. Territorio inteso come rapporto tra l’ambiente, l’agricoltura e la salute del cittadino. C’è tutto un capitolo che sfugge per il momento al campo di applicazione del diritto europeo, perché si tratta di tematiche di competenza nazionale, come quello sulla pianificazione territoriale, che dovrebbe tener conto della tutela ambientale e non soltanto quando si realizzano grandi opere che sono già soggette alle disposizioni di valutazione ambientale strategica. Il tema è anche connesso all’attuazione dei piani urbanistici. Ritengo, altresì, che le energie rinnovabili siano di grande utilità per la sicurezza energetica, la mitigazione dei cambiamenti climatici e i benefici economici ma sarà necessario promuovere una campagna di sensibilizzazione all’uso corretto energetico coinvolgendo principalmente i giovani”.

Tutela dell’ambiente, del paesaggio, ma anche sostegno agricoltura. Nel Centro Italia, per esempio, ci sono molte attività in crisi che meritano attenzione.

“Proteggere il paesaggio è fondamentale, ma bisogna ricordarsi che il paesaggio attuale è stato modellato nei secoli per adattarsi allo sviluppo. Non bisogna tralasciare l’importanza delle nuove tecnologie e l’evoluzione delle pratiche agronomiche. Come tutti sanno nel Centro Italia il vino e l’olio, per esempio, sono settori agricoli fra i più importanti, che hanno reso l’Italia famosa in tutto il mondo. L’agricoltura nel nostro paese, purtroppo non è molto remunerativa e i contributi della Commissione Europea sono fondamentali. Mi riferisco alla PAC (Politica Agricola Comune) e al Fondo Europeo Agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), che supportano gli agricoltori e gli permettano di continuare a gestire il nostro territorio. Bisognerà porre attenzione, anche in futuro, sui destinatari dei contributi, per cercare che ogni singolo euro europeo vada ad aiutare i nostri agricoltori e le loro attività. Credo, inoltre, che sia indispensabile individuare anche a livello comunitario dei soggetti che conoscano a fondo esigenze e i problemi degli agricoltori degli Stati membri, per poter indicare quali siano le vere necessità di ogni singolo territorio. In Italia, per esempio, l’Accademia dei Georgofili con sede a Firenze si occupa di tutto questo e porta avanti una serie di azioni mirate e di grande attenzione sulle tematiche agricole e le specificità territoriali”.

Nel suo programma si pone anche grande attenzione alle Piccole e Medie Imprese (PMI).

“Ritengo doveroso che ci sia un’attenzione primaria per le PMI, che rappresentano il tessuto portante e uno dei motori dell’economia italiana. È necessario però incentivare una maggiore adozione e utilizzo dell’ICT (Information and Communications Technology) e dei servizi digitali come acceleratori dello sviluppo anche per velocizzare il processo di trasformazione e di maggiore efficacia. La chiave del successo è una piattaforma che colleghi consumatori e creatori di contenuti favorendo la digitalizzazione delle imprese e commercio elettronico. La mia proposta è realizzare un programma ERASMUS PLUS PER LE PMI che siano in grado di valorizzare le proprie capacità artigianali, storiche e innovative; generando un dialogo tra gli Stati Membri per realizzare una rete europea tra piccoli imprenditori e artigiani con programmi innovativi finanziati. In questo modo si potrebbe concretizzare uno scambio di buone pratiche e, altresì, d’innovazione e ricerca creando tante nuove opportunità per le piccole e medie imprese europee con partenariati innovativi per costituire sinergie tra il mondo dell’istruzione e quello del lavoro.”

Secondo lei qual è un altro settore strategico in cui l’Unione Europea dovrebbe porre più attenzione?

“L’econome digitale. Termine che indica innovazione e tecnologia applicate all’economia e a tutte le attività necessarie a soddisfare un bisogno. Non bisogna lasciare il primato alla Cina e all’USA. La partita sull’Intelligenza Artificiale si gioca tra USA, Cina, Europa e Israele. L’Europa paga la frammentazione nelle varie politiche nazionali. L’Italia è al 25° posto su 28 paesi europei nel punteggio DESI (Digital Economy and Society Index) complessivo del 2018 e ha sviluppato una strategia per raggiungere gli obiettivi indicati predisponendo il “Piano nazionale Banda Ultra Larga” e “Crescita Digitale”. Affinché si sviluppi una più efficiente economia digitale è necessario vi siano alcuni presupposti: dotarsi di infrastrutture tecnologiche, fisse e mobili, evolute; diffondere tra le PMI una maggiore adozione e utilizzo dell’ICT; ripensare i modelli imprenditoriali; puntare sulla formazione dei lavoratori. Le cinque aree tematiche da valutare sono: connettività; capitale umano e competenze digitali; uso di internet da parte dei cittadini; integrazione di tecnologie digitali da parte delle aziende; digitalizzazione dei servizi pubblici. Attenzione però che l’economia digitale ha uno raggio di azione molto più ampio della Rete (Internet), comprende tutte le diverse tecnologie, sia hardware che software, sia online che offline: dai sistemi cloud al mobile, dall’Internet ai Big Data, fino ai social network. È un settore in continua evoluzione e trasformazione tanto da ampliare continuamente lo spazio dell’economia digitale. Il fenomeno più importante è la sempre maggiore integrazione e ibridazione tra il digitale e l’economia tradizionale, i cui processi produttivi vengono trasformati e ottimizzati dalla tecnologia digitale.
Altro settore strategico il turismo. Bisogna che l’Unione Europa torni a parlare di turismo e definisca una strategia comune, in cui l’Italia possa giocare un ruolo chiave. Si devono individuare percorsi che uniscano concretamente istituzioni e operatori di settori. Bisogna incentivare nuovi corsi per la formazione di manager che abbiamo competenze polivalenti, non solo nelle strette materie di competenza sull’accoglienza, ma che sappiano tenere conto di tutti quelli aspetti innovativi, sociali, culturali e artistici che appartengono al nostro straordinario patrimonio storico e che meritano di essere valorizzati pienamente”.

Senza infrastrutture però, diventa un’impresa titanica…

“Senza dubbio. Non solo infrastrutture tradizionali ma soprattutto la rete informatica e telecomunicazione digitale e, in particolare, potenziamento della banda larga in tutto il territorio e cooperazione europea in materia di scienza e tecnologia (COST) che è finalizzata alla creazione di reti di ricerca per offrire uno spazio aperto per la collaborazione tra scienziati di tutta Europa (e non solo) dando quindi slancio ai progressi della ricerca e all’innovazione.
Le infrastrutture viarie comunque rivestono un ruolo centrale e perciò la TAV è un progetto strategico per il nostro paese e per il futuro dell’Italia che deve essere realizzato. Si tratta di uno tra i cantieri infrastrutturali più importanti che abbiamo: una rete di trasporto trans-europee (TEN-T), che consiste in un insieme di infrastrutture di trasporto integrate previste per sostenere il mercato unico, garantire la libera circolazione delle merci e delle persone e rafforzare la crescita, l’occupazione e la competitività dell’Unione europea con ripercussioni ambientali ed economiche evidenti a tutti. Non è solo un collegamento con la Francia, ma la porta per l’Europa”.

Nel mondo del lavoro troppo spesso le donne hanno spesso un ruolo subalterno rispetto agli uomini. L’Europa può intervenire?

“Un elemento essenziale della politica europea è il processo di emancipazione della donna e la sua eguaglianza nel lavoro, nella comunità e nella vita in genere. Da sempre mi occupo dei diritti delle donne e delle pari opportunità. Con la Conferenza delle Nazioni Unite di Pechino sono state promosse delle azioni negli Stati membri a favore della parità di genere che molto spesso sono andate nella direzione opposta rispetto all’uguaglianza. Anche le quote rosa hanno contribuito ad evidenziare il problema dando un aiuto fintanto che non sarà raggiunta la reale parità. Invece di agevolare la donna e il suo percorso di crescita, a volte con azioni un po’ “goffe”, abbiamo ottenuto il risultato opposto. Bisogna innanzi tutto garantire una pari retribuzione effettiva a livello europeo che non è stata raggiunta nonostante che le donne siano più preparate e capaci di gestire la famiglia e la vita lavorativa; e occorre eliminare tutte le discriminazioni contro la donna per garantire le pari opportunità.”.

Anche le violenze sono in aumento. Cosa si può intervenire con maggiore incisività?

“Sul problema atroce delle violenze possiamo e dobbiamo fare di più, anche a livello culturale. Il fatto tragico è che esistono ancora gravi reati di stalking e forti ricatti morali, che sono intollerabili al giorno d’oggi. E su questo, dobbiamo smetterla di nascondere la testa sotto la sabbia e affrontare il problema con un’azione forte, decisa e comune in Europa. Basti riflettere sul terribile dramma della dilagante violenza sulle donne, presente in tutti gli Stati membri, senza eccezioni, che deve essere punita severamente. E le violenze sono così inaudite che assomigliano quasi ad una rivalsa nei confronti delle donne che cercano l’emancipazione. Queste donne vanno aiutate ex ante, e non dopo che la violenza si è verificata: un modo che abbiamo per farlo è l’educazione, il rispetto e l’istruzione. Il rispetto verso le donne oggi sembra non esistere. Tutto questo è inconcepibile e sintomo di una necessaria azione educativa. Ritengo che si debba garantire la certezza della pena per chi commette le violenze. Chi si macchia di questi reati deve finire in carcere e non deve poter accedere a condoni e a sconti di pena”.

Torniamo un attimo a parlare di Unione Europea. Cosa pensa della questione Brexit?

“Sono molto dispiaciuta per l’uscita del Regno Unito dall’UE, anche se la data sarà dilazionata. Tuttavia ritengo che si sia verificato un fatto positivo a seguito del dibattito su Brexit perché in Europa non si è più parlato dell’uscita di altri Stati dall’Unione. Gli euroscettici si sono definitivamente trasformati in eurocritici. Tutti sono pronti a proporre riforme comunitarie, anche sostanziose, e allo stesso tempo difendono l’acquis communautaire (diritto acquisito comunitario) specialmente nei confronti dei paesi candidati che per poter aderire all’Unione europea e per una piena integrazione devono accoglierlo nei rispettivi ordinamenti nazionali, adattandoli e riformandoli in funzione di esso”.

L’esito del voto europeo avrà ripercussioni sul Governo italiano dopo le elezioni?

“Al momento è impossibile azzardare delle previsioni sulla tenuta dell’esecutivo”.

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