Il problema è che abbiamo deciso di realizzare la moneta unica e con la crisi si è creata la sfiducia fra gli Stati membri. Dobbiamo lavorare affinché il patto di stabilità non sia una morsa ma permetta la crescita e consenta di rafforzare l’unione monetaria ed economica. Sostenere ogni Stato membro e tenere conto delle specificità in campo economico, culturale e sociale può rappresentare una delle chiavi per valorizzare l’autonomia, senza perdere mai di vista una visione europea condivisa. Questo tipo di percorso di concertazione tra Unione Europea e Stati Membri, se intrapreso, potrebbe avere nel medio e lungo periodo benefici riuscendo a fare del patto di stabilità e crescita un effettivo strumento catalizzante, permettendo, in via del tutto eccezionale, una deroga nel caso di catastrofi naturali, come è successo recentemente nel cuore della nostra Italia. La deroga non deve essere la normalità, ma l’eccezione che viene concessa solo con l’approvazione di un programma operativo d’interventi che definiscono modi e tempi d’attuazione.
Dalla moneta unica difficilmente si tornerà indietro. Uscire dall’euro oltre che difficile potrebbe rappresentare un vero e proprio boomerang, basta riflettere su cosa sta avvenendo in Gran Bretagna,. Non che sia tecnicamente impossibile, ma l’Italia non sembra nelle condizioni di poterselo permettere e credo anche che non sia auspicabile da nessuno.
Per capire quali potrebbero essere le conseguenze dell’abbandono della moneta unica è utile considerare quali siano stati gli effetti dell’introduzione sulla nostra economia, pur non avendo la riprova di come sarebbe andata se non fosse successo. Del resto non va dimenticato che molti effetti attributi all’euro degli ultimi anni sono figli del processo di globalizzazione, più che della presenza della moneta unica.
A tal proposito vorrei segnalo un interessante lavoro del professor Paolo Manasse, pubblicato nel 2015, che confronta i risultati del Pil in “prima” e “dopo” l’introduzione dell’euro. Con una ricostruzione puntuale che combina in modo opportuno i Pil di paesi che non sono entrati nell’euro, il Pil italiano è stato ricalcolato in base a quello che si sarebbe verificato se l’Italia fosse rimasta fuori dall’eurozona. E i risultati mostrano, sostanzialmente, una certa linearità. Quindi se da un lato la spinta euro non è stata quella attesa vent’anni fa, rimanere fuori non avrebbe portato benefici. Per questo attribuire alla moneta unica tutti i mali della nostra economia non risponde a verità. E soprattutto uscire dall’euro non sarebbe la soluzione.
Recentemente la Banca Centrale Europea ha lanciato un nuovo allarme. L’Istituto guidato dall’italiano Mario Draghi nel nuovo bollettino di Aprile 2019 – riportato dall’AdnKronos – ha confermato “La presenza dei i rischi per le prospettive di crescita nell’area dell’Euro per la persistenza delle incertezze connesse ai fattori geopolitici, alla minaccia del protezionismo e alle vulnerabilità nei mercati emergenti”. La BCE, però, nel suo nuovo report ha sottolineato anche la fiducia per il futuro: “Gli incrementi dell’occupazione e l’aumento delle retribuzioni continuano a sostenere la capacità di tenuta dell’economia interna e il graduale intensificarsi di spinte inflazionistiche”.
Siamo consapevoli che la moneta unica non possa funzionare in modo ugualitario in tutti i Paesi aderenti, anche perché non abbiamo una vera e propria politica fiscale ed economica comunitaria, che tuttavia non è auspicabile in questi stretti termini. Ma non si può più nemmeno far finta di niente sul fatto che la sfiducia degli Stati Membri, dopo l’introduzione della moneta unica e con la crisi economica, sia aumentata in maniera quasi irreversibile.