Una nuova cooperazione internazionale

Monica Baldi

Aiutare gli immigrati nei loro paesi di provenienza non è per me un semplice slogan elettorale. Si sente spesso utilizzare questa frase, soprattutto da molte personalità del mondo della politica e della cultura durante interviste e talk show televisivi. Si dibatte molto sulle paure dei cittadini, ma così si affronta soltanto superficialmente la questione. Improvvisazione? Ricerca di consenso? Scarsa conoscenza dell’argomento? Sicuramente c’è un po’ di tutto questo.

Ecco perché è arrivato il momento di agire e di mettere in atto azione concrete e mirate. Si parte da un punto fermo, che per me è un assioma. Per cercare di “governare” il fenomeno dell’immigrazione è necessario sviluppare condizioni economiche reali di crescita nei paesi di provenienza. Occasioni reali per rilanciare la cooperazione internazionale, che sappiano creare un ponte tra paesi in via di sviluppo, Unione Europea e Stati Membri. Uno sbocco vitale per le nostre aziende tartassate dalla crisi, un’occasione di crescita economica per i paesi interessati dal fenomeno migratorio, ma anche nuove opportunità di lavoro e di qualificazione professionale per gli immigrati.

Il problema dell’immigrazione è sicuramente molto sentito in Italia, così come avviene anche in altri Stati Membri dell’Unione Europea. Senza dubbio la nostra posizione geografica, decisamente “vulnerabile”, non aiuta. Ma è anche vero che il Mediterraneo non è l’unica ed esclusiva rotta migratoria esistente.

Mi occupo da sempre di cooperazione allo sviluppo sia per la mia competenza professionale e sia perché ritengo ciò una priorità. Aiutare gli immigrati nei territori di provenienza, come dice l’emerito Papa Joseph Ratzinger, “Prima ancora che il diritto a emigrare va riaffermato il diritto a non emigrare”. Per farlo è necessaria una coordinata e vigorosa attività di cooperazione allo sviluppo e creare, così, le condizioni per far rimanere le persone nei propri luoghi d’origine. Servono regolamenti e direttive europee ma anche le corrispettive leggi di attuazione in ogni singolo Stato membro. Realizzare infrastrutture in Africa non è utopistico come molti credono attualmente.

Basti pensare che in Italia l’unica vera legge sulla cooperazione risale al 1992, che è stata poi bloccata con tangentopoli, e, dal 2014, esiste un’agenzia che rappresenta il braccio tecnico-operativo del sistema italiano di cooperazione. È tempo di varare una nuova legge italiana che permetta di cooperare in sintonia con i finanziamenti comunitari sia per dare una mano concreta ai migranti e sia per favorire l’economia del nostro paese considerando anche il ruolo primario che possano giocare le nostre imprese edili nel costruire infrastrutture e complessi abitativi.

Durante la mia esperienza in politica ho avuto modo di affrontare la questione in territorio africano e molte altre volte durante le riunioni dell’Assemblea Africa Caraibi e Unione Europea. Racconto un aneddoto di alcuni anni fa, durante una mia visita in Mauritania ebbi un interessante scambio di idee sulla pianificazione urbanistica di Nouakchott con l’allora ministro del Planning. Rimase molto colpito da alcune soluzioni tecniche che gli proponevo, in base alle nostre normative urbanistiche e ai nostri regolamenti architettonici, tanto che diede subito la disponibilità a collaborare a progetti comuni e a realizzare nuove infrastrutture locali richiedendo il supporto tecnologico di aziende italiane. Questo fatto mi colpì molto e ritengo che oggi i tempi siano maturi per creare un ponte concreto tra l’Unione Europea e l’Unione Africana.

In questo percorso di rilancio della cooperazione internazionale anche gli immigrati potrebbero svolgere un ruolo fondamentale. Sono consapevole che debba essere riformato il regolamento di Dublino e che debba essere rivisto il sistema e il metodo di collocazione degli immigrati negli Stati membri. Ritengo anche che il meccanismo della corretta accoglienza debba giocare un ruolo chiave. Potrebbe essere importante creare dei veri e propri “CORSI DI APPRENDISTATO PER IMMIGRATI”, i quali, in questo modo, si potranno formare meglio nei loro settori lavorativi di competenza. Certamente nei settori professionali in cui erano già stati istruiti durante gli anni di studi compiuti nei loro luoghi d’origine, in modo da acquisire la conoscenza necessaria a sviluppare le attività nei paesi di provenienza. Potrebbero, in seguito, essere impiegati attivamente nella realizzazione di progetti di cooperazione internazionale nelle loro nazioni di origine.

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